“Quando Irma Bandiera venne alla luce, il suo babbo partiva per la guerra. E la mamma piangeva, perchè rimaneva sola, con due bambini piccoli, e l’ultima appena nata. Nel suo dolore si compiaceva, povera mamma, che Irma fosse una bambina. “Tu almeno non andrai in guerra” diceva, guardandola nella culla dove il padre soldato non l’aveva ancora vista.” (ricordo di Irma Bandiera, di Renata Viganò)
Irma, bella come la Resistenza, forte come solo una donna può esserlo e sfortunata come la sorte che se la portò via.
Strana davvero la sorte di Irma Bandiera, di famiglia “buona” come si sarebbe detto un tempo. Eppure tra la via buona degli agi familiari e quella dura della Resistenza lei scelse quest’ultima. Divenne una partigiana combattente (staffetta è riduttivo) della Settima Gap di Bologna e come tale fu arrestata il 7 agosto 1944.
La terribile banda di Tartarotti, denominata Compagnia Autonoma Speciale, la sottopose a incredibili torture per costringerla a fare i nomi dei suoi compagni ma lei non parlò. Anche questa volta Irma poteva scegliere la strada semplice, dire quel che i fascisti chiedevano e far finire quell’incubo immediatamente. E invece no!
Irma non parlò e così il suo corpo sfigurato dalle torture fu ritrovato dalle parti del Meloncello, i fascisti lo lasciarono per un’intera giornata in mezzo alla strada, come monito per chiunque volesse seguirne l’esempio.
La verità è che l’esempio di Irma era la dimostrazione del fallimento dei fascisti. Nonostante pensassero con la cattura della partigiana di avere la Settima Gap in pugno Irma non aveva parlato e Tartarotti si ritrovava con un nulla di fatto.