L’amore ai tempi del coronavirus

Ovvero: come non riuscire a rispettare le regole almeno per qualche mese.

Era la sera del 9 marzo (anche se sembra passato un secolo, eh?) quando il premier Giuseppe Conte annunciava che la “quarantena”, fino ad allora limitata ad alcune zone per cercare di contenere i contagi da Covid-19 (per gli amici Coronavirus), veniva estesa a tutta Italia.
Dal 10 marzo veniva chiesto a tutti gli italiani un grande sforzo di responsabilità, che da quel momento sarebbe stato racchiuso dentro l’hashtag #iorestoacasa: cari cittadini, uscite di casa solo per comprovate necessità di lavoro, salute e approvvigionamento alimentare.
Semplice, no? C’è il coronavirus? Io resto a casa. O almeno questo deve aver pensato il nostro caro Giuseppe quando si approntava a firmare IL decreto. E invece no, Giuseppe non aveva fatto i conti con i suoi amati concittadini.

La vignetta di Befeldo

Dal quel giorno infatti, quasi immediatamente si è iniziato a fare i conti con chi proprio non riusciva a rinunciare allo jogging quotidiano e -si è venuto poi a scoprire- anche con i meno sportivi che non volevano rinunciare alle proprie passeggiatine.
Ma il giornale si può comprare? E le sigarette sono necessità? Ho la revisione della macchina, che succede se non lo faccio nei termini di legge? Tante domande hanno attanagliato giustamente l’italiano e tante risposte sono arrivate dal governo che lo rappresenta.

Il problema è che nelle risposte non si parlava di divieti, ma di “inviti”: vi invitiamo a non uscire per fare due passi, a non andare in bicicletta, a non uscire per comprare solamente 1 litro di latte e via dicendo.

Vi invitiamo.

Avete mai notato sui cartellini di divieto multilingue che le esternazioni più dure sono solo quelle scritte in italiano? In inglese ti scrivono:
“Per favore, non superare la linea gialla mentre il treno è in transito”.
In italiano? “VIETATO ATTRAVERSARE LA LINEA GIALLA.”

Ci sarà un motivo se questo accade? L’italiano non comprende nient’altro che imposizioni nette (e a volte fa fatica a comprendere pure quelle). Se chiederete di agire “con coscienza” o “pensando alla situazione che tutta la nazione sta attraversando” egli penserà al suo jogging quotidiano. È una caratteristica innata, per noi non esiste solo bianco o nero, ma tante meravigliose sfumature (che in tante occasioni poi, è da dire, ci hanno permesso di diventare “unici ed inimitabili” nel senso più positivo del termine).

E allora che si fa? Si emanano direttive, circolari, si chiudono parchi e tolgono panchine, si intima di non uscire dal proprio isolato per “pisciare il cane”, si vieta l’utilizzo delle biciclette. Si vieta, e quindi si raggiunge lo scopo. Ed è lì che l’italiano oramai costretto alla reclusione scopre il jogging all’epoca del coronavirus: il social networking. Milioni di italiani che postano, commentano, dibattono alimentando fiumi e fiumi di discussioni fini a se stesse. E quindi inutili. Sì amici miei, inutili. Siete virologi? Fate parte del comitato scientifico del governo? Vi siete laureati con una tesi sulle pandemie? E allora state parlando per passare il tempo. Sia chiaro, siamo in democrazia e tutti possiamo dire la nostra, come io ora sto dicendo la mia e ci mancherebbe. Ma davvero non se ne può più.

E non sono passate che sole due settimane. Ce la faremo a resistere almeno fino al 3 aprile?

cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese

L’attesa di Florentino Ariza ne “L’amore ai tempi del colera” prima di reincontrare la sua amata

Autore
Donato

Di lui si sa poco.
Dicono si aggiri per gli studi di RFA dal lontano 2009, e che sia possibile ancora oggi vederlo aggirarsi sui palchi durante gli eventi live. Qualcuno giura addirittura di averlo sentito parlare ad un microfono o di averlo visto mentre intervistava qualche torvo personaggio.
Noi sappiamo solo che si chiama Donato, e che a volte gli piace usare il pluralis maiestatis per parlare di se.

Commenta

Altri articoli