di Eleonora Fazi
“Ta” o “Nil” in gaelico, “Yes” o “No” in inglese l’alternativa del quesito referendario,
“Ta” all’abrogazione dell’ottavo amendment della Costituzione irlandese che nel 1983 rese illegale l’interruzione volontaria della gravidanza, “Ta” la risposta del 66,4% degli elettori.
Trentacinque anni dopo gli irlandesi tornano alle urne e muovono un altro significativo passo lungo la strada verso il cambiamento, la stessa che solo tre anni fa ha portato alla legalizzazione del matrimonio omosessuale e che rimarca il tentativo dell’isola di smeraldo di emanciparsi da una morale bigotta che da sempre la pervade. E la sua è una vera spinta all’acceleratore progressista.
Certo è che l’Irlanda è il paese che più al mondo ha subito lo scandalo della pedofilia da parte di membri del clero cattolico, sebbene questo sia solo il più recente colpa di coda di un processo di secolarizzazione maturo. A farne le spese, oltre ai numeri che raccontano il drastico calo dei fedeli cattolici, è l’autorità morale della Chiesa e con essa la sua capacità di influenzare la vita sociale e politica.
Quella irlandese è infatti una delle regolamentazioni sull’aborto più stringerti d’Europa perché vieta l’interruzione volontaria della gravidanza in ogni caso, anche in situazioni estreme come casi di stupro, incesto o malformazione del feto.
La pena in caso di violazione del divieto o di favoreggiamento prevede fino a 14 anni di carcere.
Ma c’è un’alternativa, andarsene. Paradossalmente la legge prevede infatti la meschina possibilità di ricorrere all’aborto all’estero e, essendo questa l’unica alternativa possibile, è venuto a crearsi il cosiddetto turismo dell’interruzione volontaria, per lo più verso il Regno Unito, di migliaia di donne che ricevono assistenza medica e supporto in Gran Bretagna.
Da questo punto di vista la campagna pro choice è sinonimo di difesa dei diritti umani, tanto da aver ricevuto il sostegno di Amnesty International.
“Noi vogliamo proteggere sia le madri che i bambini che stanno nascendo” afferma la leader della campagna pro life.
Il punto è rivoluzionario, un dibattito prezioso, pregno dell’anima più democratica del popolo irlandese. Una questione di civiltà.
Nel 2012 Savita Halappanavar muore per una complicazione durante la gravidanza dopo che le è stata negata la possibilità di abortire, come previsto in Costituzione. L’evento scatena la reazione dell’opinione pubblica e porta alla nascita dei forti movimenti pro aborto che conosciamo oggi, fino all’approvazione nel 2013 di un atto che consente l’interruzione della gravidanza in caso di estremo pericolo per la vita della donna incinta, il “Protection of Life During Pregnancy Act” che segna la prima e significativa apertura per la “protezione della vita delle donne incinte”.
Donne come Savita, Valentina e come tante altre che avevano il diritto all’assistenza medica, e, non di meno, il diritto uscirne incolumi se non per motivi naturali. L’omissione è potenzialmente commissione.
Incolumi, si fa per dire. Dietro a dibattiti su fanatismi religiosi e diritto alla vita c’è una persona che vive il momento più drammatico della sua vita, una persona comunque psicologicamente ferita, emotivamente lesa la cui lotta tutti dobbiamo silenziosamente rispettare per darle la possibilità di superarlo.
A Savita questa possibilità è stata negata, perché dallo University Hospital Galway di Dublino non è mai uscita. Savita è stata lasciata morire di setticemia perché i medici irlandesi, nel pieno rispetto della legge, hanno atteso che non si sentisse più il battito cardiaco del feto. Protection of life during pregnancy è una questione di civiltà.
Savita è oggi il volto della campagna per il “si” all’aborto in Irlanda.
La risposta del popolo irlandese è chiara. Ta alla prevenzione, ta all’educazione sessuale, ta alla fruibilità dei mezzi contraccettivi, ta alla comprensione nel dolore di una scelta durissima.
L’Irlanda potrà ora scrivere una legge che consenta alle donne il diritto di interrompere la loro gravidanza. God bless you.
Questo articolo è tratto dal blog ‘The Subway Wall’: https://thesubwaywall.net/2018/05/27/la-cattolicissima-irlanda-ha-detto-ta/
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