Campo da calcio, quasi ghiacciato, c’è molto vento ma io corro, solitario. Corro per recuperare dall’ennesimo infortunio di una stagione sfortunata, e con il fiato spaccato in due mi domando: cosa me lo fa fare?
La domanda riecheggiò nella mia testa fermando quasi il tempo, mi accorsi però all’istante, come l’interrogativo non fu per contemplare l’ipotesi che fosse arrivata l’ora di smettere(di appendere le famose scarpette al chiodo), ma tutt’altro. Sono sicuro volesse essere un modo per ribadire a me stesso, e al simpaticissimo vento gelido, quanto ancora io ci tenessi, e quanto poco lui mi potesse spaventare.
Lo sport è fatica, a mio modo di vedere più psicologica che fisica. La fatica sta nell’avere costanza, ma anche nel prendere un regionale di venerdì sera per tornare a casa con la borsa pesante in spalla. E ancora nelle dita ghiacciate, nelle bestemmie delle madri quando porti chili di fango a casa, negli infortuni e nelle rinunce, nei sacrifici.
Arriva un’età in cui la parola sacrificio diventa il vero spartiacque, fra chi è ancora disposto a farne, e chi preferisce non senitire più le bestemmie di sua madre. Se lo sport è legato al sacrificio, quest’ultimo invece viaggia a braccetto con le persone, che oltre a condividerlo, lo ripagano.
Cosa ti mancherebbe se smettessi di praticare il tuo sport?
Io risponderei così:
- le chiacchiere con gli amici
- il vivere lo spogliatoio
- la doccia calda dopo una bella sudata
- l’adrenalina della domenica
- la tachicardia nelle giornate importanti
- la voglia di gioire
- il sentirsi parte di una famiglia.
Ora torno su quel campo, che fortunatamente per mia madre questa sera è ghiacciato. Il vento è tagliente, corro pesante nelle gambe ma leggero nella testa, e a tratti ho la sensazione di essere rimasto lo stesso ragazzo con la borsa pesante sulle spalle, che aspetta spensierato l’arrivo lento del regionale, per tornare a casa, di venerdì sera.
L.