Il giorno fu pieno di pianti, ma ora verranno le stelle. Le tacite stelle. E non potrebbe essere altrimenti. Arrivano, del resto, momenti in cui bisogna incassare, tacere e riflettere. Taccio anch’io, allora. A raccontarvi una delle due giorni più dense ed intense di Baketcity, vedrete, sarà chi di dovere. Onestamente, mi sembra più giusto così.
Gino. Partita della Fortitudo bypassata anche a sto giro. Meno male, dunque, che il nostro eroe bissava la presenza al Pala Mangano, stilando una dettagliata cronaca dei fatti, inviata in tempo reale tramite Whatsapp. Climax di emozioni, purtroppo desolatamente discendente: si passa dall’estasiante “+20 vai tranquillo” delle 21.50, all’ “Agropoli rimonta, ma comunque +9” delle 22.10, concludendo col “supplementare” di un quarto d’ora più tardi. Inutile parafrasare la successiva cascata di improperi. La Effe pecca di superbia (graverrimo) e ora dovrà obbligatoriamente rimediare sfruttando i due match-point casalinghi a disposizione. Sperando che Roderick (36) e Trasolini (25) mettano sotto radice i loro score.
Francesca. Alle 20,30 è davanti alla tv. Puntuale, come in occasione di tutti i precedenti appuntamenti stagionali. Sia in casa che, talvolta, in trasferta. Le speranze di vedere la sua Virtus vincente in casa della corazzata reggiana sono razionalmente poche. Ma all’intervallo (38-38) la paura si trasforma in fiducia. Poi, nel terzo quarto, in speranza (38-47, massimo vantaggio ospite). Ed è per questo che il lento ed inesorabile cadere di tutte le certezze, alla fine, fa ancora più male. Occhi lucidi davanti al teleschermo. Non c’e nemmeno la forza di andare a protestare all’Arcoveggio. Non resta che piangere, con la consapevolezza di essere tra i pochi autorizzati a farlo.
Dexter. Lui non sa che la sconfitta appena rimediata vale 90 di storia senza macchie. Si presenta canonicamente in conferenza stampa, rimediando in corner con le solite dichiarazioni di circostanza che ai giornalisti italiani, come a quelli turchi, potrebbero sembrare appropriate. Gli dispiace, chiaro, per quello che è successo. E’ rammaricato. D’altronde, non sono bastati i 22 di Collins, l’aver dato l’impressione di essere squadra da piani alti solo nelle ultime due partite e gli incessanti cambi di connazionali “gettonati”, rimpiazzabili come figurine Panini, durante la stagione. Dexter spera che il ritorno a casa sia tranquillo: domani lo aspetta un volo per New York insieme a tutta la famiglia. Bon viaz, quindi.
Mario. Dopo aver vinto la schedina, ha deciso di andare tutte le domeniche in trasferta, play-off compresi. Soggiorno di quattro giorni sul lungo-mare del Cilento, per non farsi mancare niente. Buona la prima, male la seconda. Verso le 23 si torna mestamente in Emilia. Mario non sa che esattamente ventiquattro ore dopo uscirà di casa per andare a festeggiare assieme agli amici di Fossa l’insperata retrocessione virtussina. Ci sono cose che s’aspettan tutto l’anno, ma che arrivano solo all’improvviso. E il derby (debiti casertani permettendo) eccolo qua.
Enzo. Enzo fa l’operaio. Da vent’anni si è trasferito a Bologna, lasciando la famiglia a Caserta e il cuore al Pala Maggiò. Gli hanno già riferito che la sua Juve, questa volta, non ce la farà. Il suo datore di lavoro, che ogni Domenica presenzia nel parterre dell’Unipol, non è mai stato abituato a perdere. Lui, invece, di sconfitte ne ha viste molte di più. Quasi quasi non vuole nemmeno vedere la partita in tv. Alla fine, si convince per nostalgia: vorrebbe esserci pure lui in mezzo a quella bolgia. “Guarda Carmen, sembra il ‘91”. Dell’Agnello (suo idolo di gioventù) è ora in panca a dirigere le operazioni. Al suo posto ci sono Bobby Jones e Micah Downs. Siva non è Gentile, Hunt di Shackleford ha solo il taglio di capelli. Poco importa, “pure Giuri è un campione se lotta così”. Si culla, si sogna e, alla fine, si vince. Per un giorno, Enzo potrà guardare tutti dall’alto: “scusate Direttò, ma noi proprio non ce lo meritavamo di andare giù”.
Marco. Fuorisede reggiano habituè del 20 Casalecchio-Pilastro. Fermata canonica a Porta Saragozza, dipartimento di Ingegneria. Gli sfottò coi compagni di corso bolognesi sono all’ordine del giorno, anche se toccano il dolentissimo tasto della finale persa contro Sassari nella passata stagione. La minoranza, del resto, soccombe sempre. Giovedì, sarebbe stato facilissimo vincere e vendicarsi dei soprusi subiti per anni, ma Marco ha preferito non farlo. E’ vero: ora si è secondi con un roster da urlo e Milano è lontana, ma non più un miraggio. Prima di arrivare ad un passo dallo scudo, però, si è passati per la periferia dell’Italia. Marco lo rammenta e, per una volta, parlerà di equazioni di Maxwell. In fondo gli dispiace, ma è giusto che ognuno faccia il suo gioco.
Stefano. Di professione cestista alle dipendenze dell’Auxilium Torino, il “Mancio”, così come tutti lo chiamano dai tempi della Fortitudo, non ha un bel rapporto con la parte bianco-nera di Bologna. Soprattutto ora che in palio c’è la Serie A. Pazienza se la prima ripresa in casa Virtus è finita con un knock-out tanto tecnico quanto morale: nella sfida a distanza che decide tutto, ne piazza 15 e Torino salva la pelle, cacciando nel baratro proprio la V-nera. Chissà se l’ex capitano effe-scudato rimpiange carriere mancate in luoghi molto più ameni. Al cuor, però, non si comanda e quando dalla Bologna che lo acclama scrosciano tributi di ringraziamento, il “Mancio” pensa che anche sta volta sia stato un piacere.
Lucius. Mettiamola così: se avessi conosciuto il Lucius, mica sarei entrato dalla porta sbagliata di Basketcity. Invece, il Lucius non l’ho incrociato. Per due anni. Lui la partita l’ha vista da molto più in alto di me, assieme agli amici del Bar Billy. La Virtus in A2? Impusebbil. Che dire, spero solo che il segnale non sia arrivato.