Lo ammetto subito e mi sento in torto. Non conoscevo i Neu!, o meglio, li collocavo bene nella storia del rock ma di loro brani, storici o meno, ne conoscevo pochi o niente.
Mi si presenta qualche sabato fa l’occasione di andarli a vedere, anzi a vedere la loro mente, Michael Rother. Gratis. L’evento era al MAST, compreso nella notte bianca di Foto/Industria. Tutto sommato sarebbe stato un errore non profittarne, stiamo comunque parlando di una band che ha condizionato lo scenario musicale degli anni a seguire, dall’ascesa del krautrock, tedesco, al periodo berlinese di Bowie, fino all’ambient di Brian Eno, con il quale Rother a metà anni settanta ha inciso diversi album. Il gruppo si chiamava in quel caso Harmonia.
Ebbene per un nome così importante, gratis, la sala scelta è stata quella dell’auditorium, a mo’ di cinema, in questo complesso moderno che avrebbe tanto da dare a Bologna ma del quale si parla poco. Tutti seduti.
Le luci si abbassano ed entra la band. Capeggiata dal signor Rother, 65 anni tondi, ma che ne dimostra una cinquantina massimo. Le milf in sala, tra pruriti e ricordi, iniziano a concentrarsi, a sorridere, emozionate per il loro concertino, come negli anni buoni.
A colpirle la proposta dei brani più famosi dei Neu!, a partire da quelli estratti dalla loro pietra miliare, il primo album, pieno zeppo di suoni di matrice rock, con tanti indizi di musica crucca ma anche tante sonorità che per forza di cose riviviamo negli album più contemporanei.
Canzoni come Hallogallo e Karussell.
Ma Michael Rother lo sa bene. E lo dice. Questa non è musica da cinema, inutile starsene seduti. È musica da ballare. E ha ragione. Nessuno però si scatena. A parte le milf davanti a me, che si dimenano infoiate nelle poltroncine.
Ha ragione, perché la sua musica sa attirare anche i più giovani dell’auditorium, quelli venuti per curiosità, un po’ come me, giovani. Questo avviene quando Rother fa sua la scena. Non me ne vogliano il batterista, del tutto simile a mio zio, pelata e baffetto bianco, e il chitarrista d’accompagnamento, un ragazzotto reclutato più di recente.
È così che viene fuori lo spirito di Rother, l’occhio lungo ed esperto sull’elettronica tedesca, quale avanguardia, un tempo, di tutta la techno occidentale, e una carriera fatta anche di clubbing e serate tossiche.
Il pubblico apprezza, ne gode, non riesce tuttavia a scollarsi dalla sedia. Forse per l’aria artistica e un po’ snob del museo. Steward e buttafuori in smoking, radicalchicchismo a macchia di leopardo, compostezza che richiederla di sabato sera non credo sia un affare.
Va bene. Lo accetto. Sono venuto ad ascoltare i Neu!, non suoneranno il mio genere preferito, non li conoscerò bene, ma anche questo concerto insegna. Insegna che la musica si è evoluta velocissima, soprattutto tra i ’60 e gli ’80. Che adesso faremmo meglio ad imparare dai contributi di questi artisti, prima di gasarci per quello che ci sottopongono mtv o x-factor.
Sì, ammetto che sono scappato via un po’ prima della fine, non per mancanza di rispetto. Ma quella stasi, a fronte di un maestro polistrumentista che incitava la perdizione, mi stava logorando.
Allora sono andato alla Vereda, in centro. C’era il saluto finale, per ovvi motivi di sgombero, al buon Tore. Leggenda a Bologna, ha fatto suonare e ubriacare tante band in quel buco. Lì non starò seduto. Al massimo mi sdraierò sul tardi.