Licio Gelli è morto.
Non ci interessa qui rimpinguare le fila dei vari ultrà dell’”ERA ORA” o “FINALMENTE”, che in questi giorni riempono le bacheche dei social network. Ma se è vero che la morte ci rende tutti uguali la storia assegna a ciascuno il proprio posto.
Come iscritti all’Anpi non possiamo che associarci alle parole di Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione vittime della strage del 2 Agosto. Bolognesi ha chiesto di perquisire le residenze di Gelli.
Gelli infatti si è portato nella tomba alcuni dei misteri italiani più oscuri: oltre alla strage alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980, il golpe Borghese, il caso Moro, il crac Sindona e molti altri ancora.
Se Bolognesi chiede a gran voce una perquisizione è perché non è stato fatto il possibile per chiedere conto a Gelli dei suoi segreti, quando era ancora in vita.
Di tutto questo rischiamo ancora una volta di perdere ogni traccia.
Ma chi era in realtà Licio Gelli?
Come ebbe a dire lui stesso in un intervista di alcuni anni fa era essenzialmente un fascista. Già nel ’36 si arruola come volontario nelle truppe inviate in Spagna, al fianco dei franchisti, dove perde il fratello. Nel ’44 opera al fianco dei tedeschi e poi, quando la situazione volge al peggio, cambia parte e diventa un informatore per gli alleati.
Ma è nel 1960 che Gelli arriva ad essere il grande burattinaio: il suo nome è al centro delle trame oscure che si muovono nell’Italia del boom. Affari, politica, finanzieri e faccendieri: una zona grigia in cui potere economico e politico si mischiano, questa è forse stata la P2? La loggia massonica di cui Gelli sarà Gran Maestro e che al suo interno ha avuto iscritti del calibro di: Michele Sindona, Roberto Calvi, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo e tanti altri.
Il “piano di rinascita democratica” ideato da Gelli rappresenta un progetto eversivo che detto da un gruppuscolo politico qualsiasi farebbe forse sorridere, il problema è che alla loggia P2 erano iscritti personaggi di primo piano della politica e dell’economia italiana. Scorrendo velocemente tale documento non si può fare a meno di notare come alcuni punti del piano siano forse stati realizzati.
Ci sarebbe stato tanto da chiedere a Gelli ma purtroppo ora non si può più.
E quindi forse è inutile lasciarsi andare a esclamazioni di giubilo rispetto alla morte dell’uomo proprio perché questa morte – avvenuta al caldo della propria villa – certifica ancora una volta il fallimento della nostra democrazia, di cui la magistratura dovrebbe essere uno dei principali strumenti. Ma l’Italia è un paese strano e forse è più comodo fare così, lasciare che i misfatti si seppelliscano col tempo come la polvere sotto il tappeto.