Quando ho saputo che i Mogwai avrebbero suonato, data unica, nella bella cornice di Ferrara, per presentare il loro ultimo album Atomic, colonna sonora del documentario “Atomic: Living In Dread And Promise” di Mark Cousin, proiettato per l’occasione in Piazza Castello in un goloso infrasettimanale che favorisce sempre le serate più inattese, beh mi sono precipitato a prendere biglietti e tutto. In sordina, scongiurando il sold-out, poi non avvenuto. Sintomo di disinteresse dell’umanità rock a quello che si presentava come un evento imperdibile.
L’infrasettimanale ha tanti pregi ma come difetto sicuramente quello di dover scapicollarsi per arrivare dal lavoro: Ferrara è vicina ma arrivare il prima possibile era un obbligo. Tanto quanto quello di accumulare il più alto numero di spritz prima del concerto, previsto per le 21.45. Ho fatto quello che potevo, era necessario per immergersi nelle atmosfere post-rock, ormai elettroniche, della band scozzese.
Tramonto, Ferrara, posto a sedere dislocato ma non troppo distante dal bar, di fronte a me inizia il documentario, si spegne la piazza e parte il viaggio dei Mogwai.
Il doc ripercorre con uno stile tutto suo, fatto di collage e immagini di repertorio, i momenti di drammaticità e conflitto scatenati durante il bombardamento di Hiroshima, con Little Boy e Fat Man, le due bombe nucleari che danno anche il nome a due brani dell’album.
L’impatto con le sonorità dei Mogwai è, come ci hanno sempre abituato, un capolavoro. Ritroviamo i tratti caratteristici del loro genere, difficile ormai da circoscrivere, carico di accumuli di tensione e sfoghi nevralgici, spessori tragici e spazi ampi, atmosfera, il tutto farcito da quell’elettronica già proposta con successo in Rave Tapes.
Gli spritz, provvidenziali, uniti alle immagini forti e alla musica così attinente e coinvolgente, mi stavano psicologicamente proiettando su quello che la storia ha scritto in quegli anni, le birre gelate mi permettevano di rimanere concentrato, anche se i sottotitoli in inglese diventavano sempre più piccoli.
Le musiche, a partire dal primo singolo Ether, sino all’ultima Fat Man, ripetute in fasi diverse, adattate allo sconcerto vissuto dall’umanità, sono volutamente pesanti e martellanti, il realismo è contrapposto al sensazionalismo. Non avevo ascoltato l’album prima del concerto, ma avevo visto la band solo un paio d’anni fa all’Estragon di Bologna.
Il fungo atomico si dissolve e la serata torna ad avere luce, il viaggio è finito e i Mogwai con compostezza e senza tentennare si allontanano dalla folla che reclama ancora.
Un’esperienza unica. Sensoriale. Chi ama i Mogwai sarebbe rimasto soddisfatto. Esperienza credo diversa per chi si ascolta Atomic senza mettersi sotto il documentario. Come fan spero che la band non si leghi troppo al discorso delle colonne sonore, sin qui credo siano ben quattro, tutte riuscite. Dall’altra parte non penso di esagerare nel dire che Stuart Braithwaite e soci sono ormai il punto di riferimento incontrastato del post-rock, che la loro matrice armonica è inconfondibile e che si possa, perché no, parlare di un’avanguardia della musica classica.
Me ne sono andato da Ferrara, erroneamente sottovalutata dal punto di vista concerti, soddisfatto. Lo erano tutti i miei cinque i sensi. L’infrasettimanale estivo è indegno.