Articolo a cura di Stefania Comai, psicologa e operatrice di sportello.
Lo scorso ottobre 2022 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha presentato nella pubblicazione annuale che riporta i dati principali sul gioco d’azzardo in Italia, il volume complessivo di denaro giocato nel 2021 che ammonta a circa 111 miliardi, di cui 67 miliardi riferiti al solo gioco online. I numeri degli ultimi anni mostrano effettivamente una riduzione del gioco fisico durante i mesi della pandemia, ma mostrano altrettanto chiaramente come, superata la fase di maggiore restrizione dovute al Covid19, parte dei giocatori abbiano ripreso a frequentare le sale, i bar e le tabaccherie. D’altro canto un’evidenza è la crescita del gioco online, che nel 2021 supera per la prima volta ed in maniera significativa i numeri del giocato fisico.
I dati ci raccontano di un fenomeno in crescita ed in cambiamento, di cui si parla forse ancora con una certa ritrosia o leggerezza, come se in fondo si trattasse “solo di un gioco”. Come tale, sembra prevalere la percezione che giocare non comporti di per sé un rischio, se non per una categoria minoritaria di persone che nel nostro immaginario risultano spesso “altri”, lontani dalla nostra esperienza e dalle nostre reti familiari o amicali. Ancora forte è il pensiero che giocare è semplicemente un vizio che in qualche misura ha sempre accompagnato l’evoluzione della società, malgrado la comunità scientifica abbia ormai da tempo riconosciuto il Disturbo da gioco d’azzardo all’interno della categoria dei disturbi da addiction non correlati a sostanze (DSM5, 2013).
La storia della psicopatologia racconta come ogni cultura e società abbia modificato nel tempo le forme ed espressioni più tipiche del proprio malessere, come i “sintomi” prevalenti siano stati in qualche misura anche figli del proprio contesto. In questo senso, c’è da chiedersi quale spazio potrà trovare il disturbo da gioco d’azzardo all’interno di una società che vive sempre più di precarietà economico-lavorativa e sembra generare, stando a quello che raccogliamo negli interventi con preadolescenti ed adolescenti, una generazione che vuole affrancarsi dal modello di lavoro come sacrificio cui vedono sottoposti i propri genitori, ed è quotidianamente esposta online a prospettive illusorie di facile guadagno. Una generazione che è cresciuta nel culto del denaro come parametro che definisce la propria qualità di vita ed il proprio grado di successo personale e sociale. Laddove il futuro diventa sempre più incerto ed imprevedibile, la possibilità di programmare o costruire senza garanzia di risultato lascia spazio alla tentazione di una scommessa, tanto più quando il percepito è che “tanto vale…non c’è nulla da perdere”.
Parlare di gioco d’azzardo serve allora a ricordare cosa possa esserci davvero “in gioco”, quanto si possa realmente rischiare di perdere non solo in termini economici ma di benessere personale e relazionale, come riportano le storie dei giocatori o dei familiari che abbiamo incontrato nell’esperienza dei nostri gruppi d’ascolto o agli sportelli di “Vite in Gioco”, di cui vi racconteremo nell’articolo in uscita la prossima settimana!