L’altra mattina in radio è passato questo pezzo di Franceso Guccini. Mi è sembrato incredibile che alle 8:30 di un giorno feriale, qualche responsabile musicale avesse avuto il coraggio di proporre un meraviglioso Guccini d’annata su una radio nazionale. Un coraggio che andrebbe premiato con un ringraziamento personale, se solo sapessi chi è l’uomo (o la donna) che è nascosto dietro tale scelta.
E siccome la giornata lavorativa non era ancora frenetica, e l’auto mi costringeva a non poter fare altro che guidare ed ascoltare, l’ho ascoltato come raramente mi era capitato di ascoltarlo. Non sono certo io che devo dirvi QUANTO Guccini sia (aggiungete voi un aggettivo a caso), perciò mi limito a riproporvelo, con in coda a tutto una secondo me toccante interpretazione di Levante.
Il brano:
E’ Culodritto, contenuto nell’album Signora Bovary, del 1987.
Il testo:
Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti
e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,
ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare
e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare.
Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari,
di longobardi, di celti e romani dell’antica pianura, di montanari,
reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi, anche se non avrai
le mie risse terrose di campi, cortili e di strade, e non saprai
che sapore ha il sapore dell’uva rubato a un filare, presto ti accorgerai
com’è facile farsi un inutile software di scienza e vedrai
che confuso problema è adoprare la propria esperienza;
Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica.
Culodritto, dammi ancora la mano,
anche se quello stringerla è solo un pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato, o mi ha mai chiesto;
vola, vola tu, dove io vorrei volare, verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto,
vola, vola tu, dove io vorrei volare, verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare.
Due parole di Guccini sul brano, dedicato a sua figlia Teresa:
“In Culodritto dialogo invece con una bambina che possedeva sì moltissime cose che allora io, alla sua età, non avevo, ma a cui erano precluse occasioni e situazioni – più semplici ma più fascinose – che nel corso degli anni erano andate perdute. Vedo questa bambina crescere con una grande fiducia nell’adulto e la invidio perché ha ancora tutto da scoprire, da sperimentare e perché è libera perfino di sbagliare, mentre l’adulto ha già visto, ha già fatto, ha già sfruttato le sue possibilità: dico per esempio dei libri che io ho già letto e lei non ha ancora sfogliato, e delle scoperte meravigliose che verranno da quegli incontri letterari. Poi, crescendo, ci si allontana dall’atmosfera di quando si era bambini, si ha altro per la testa. E un giorno… arriva appunto il momento in cui non si ricercano più le favole perché ci si imbatte e ci si confronta con una realtà nuova, quella che ogni giorno la vita ci apparecchia davanti, e del resto è inutile raccontare favole a chi non ha più voglia di ascoltarle.”
Ed infine, la canzone:
E l’interpretazione di Levante:
Questo è, ho sentito una bella, ma bella canzone ed ho pensato di ricordarla anche a voi. Chissà che domani non me ne ricapiti un’altra.