Ormai è un cliché: il percorso socio-alcolico che mi conduce all’Unipol Arena di Casalecchio è sempre il medesimo. Gonfio di ogni tipo di aperitivo, a digiuno o al massimo gonfio di schifezze varie, e sempre in ritardo nonostante le corse malate. Però suvvia, questo è come le rockstarz vorrebbero vedere i propri fan ai concerti che si susseguono sui grandi palchi. Inutile arrivare per primi, lucidi, ligi, per cantare e piangere la hit del momento. Meglio inverecondi, posseduti, sanguigni, rapiti dallo spirito rock.
È successo con il mitico Caparezza, mai visto dal vivo purtroppo, ma sempre stimato per i suoi ormai numerosi concept album. I suoi testi, intelligenti. La fama dei suoi spettacoli, teatrali. Infine la sua duttilità musicale, che deve per forza essere frutto della tanta roba ascoltata e digerita.
Ecco, questa volta la compagnia era eterogenea e per questo formidabile. Si è rilevata una bomba. All’aperitivo ero con i miei due scagnozzi della serata, uno di 24 uno di 40, ed io, nel mezzo, ad equilibrare sete e tempistiche. Il quarto, la quarta, una mia amica che si è aggregata coraggiosamente a noi gretti, la mia stima verso di lei crescerà durante tutta la serata.
Vi risparmio i galloni di birra del preconcerto. E anche i mezzi panini luridi. E infine il freddo di quattro persone che bubbolano ma inspiegabilmente non entrano ancora. Bene, la fila è lunga, abbastanza da imboscare nei pantaloni mezzo litro di gin tonic a cranio, giusto per non deconcentrarci una volta dentro.
A spintoni cerchiamo di colmare il ritardo maturato per la sete, arrivando abbastanza vicini da apprezzare la moltitudine di gente presente, una folla bellissima e ben assortita.
Lo spettacolo comincia ricalcando in successione le prime tracce del nuovo album Prisoner 709. La coreografia, come sempre con Capa, è affascinante e incuriosisce la massa, pregna di aspettative. Abbiamo bisogno di sbatterci.
Tra le prime proposte mi è piaciuta molto Confusianesimo, una filastrocca con cui Caparezza, o Michele dato il dualismo del protagonista, cerca di colmare la sua assuefazione spirituale. Subito Una chiave, che ho rivalutato: qui Caparezza si fa esistenzialista e sfogandosi con sé stesso lo si vede ergersi a cavallo di una grossa chiave, appunto, verso una sorta di fenditura illuminata sopra le nostre teste. Immaginatevi il gin tonic che si espande per tutto il cervello, trionfale, esaltando i miei recettori, in preda a quella che tuttora posso pensare sia stata una visione.
Poi il singolo! Ti fa stare bene fa esplodere l’Unipol Arena. Fiocchi e palloni in aria. L’estasi. Qui ho sorpreso i miei compari, ognuno nel proprio mondo di gin, sciogliersi per brindare e ballare, mi ha fatto piacere data la strana crew.
Si va avanti per tutto l’album, da Migliora la memoria con un clic a Larsen, fino alla simpatica Autoipnotica. Prima dei due ultimi brani di chiusura.
La seconda parte del concerto prevede l’esecuzione di brani del passato. E qui Capa ha pescato davvero bene. Ne è passato di tempo e forse la sottovalutai data l’età inquieta di allora…ma quanto cazzo è bella Fuori dal tunnel? Un capolavoro. Ancora. Tante. Degne di sbrocco e brindisi sicuramente China Town e La fine di gaia. Tostissima Mica Van Gogh. Tanto sudore, pogo a volte. Michele passa diverso tempo anche a chiacchierare con il pubblico. L’Arena è appagatissima.
Quasi a mezzanotte, dopo uno spettacolo travolgente, la band rientra per il bis e sfodera Vengo dalla luna e Abiura di me. Potete capire il delirio. La mia crew scatenata.
Cala il sipario. Un’esperienza coinvolgente, Caparezza si conferma uno dei miei italians preferiti. I suoi concetti sempre profondi e purtroppo a volte fraintesi.
Mentre la gente defluisce le luci illuminano una spinatrice poco affollata. È solo grazie ad essa che io ed i miei amici potremo tornare a parlarci ed è così che ci appropinquammo. La serata sarà lontana da qua, ma avremo quei ritornelli nella testa per tutte le birre a venire.