E’ abbastanza difficile spiegare chi è Bugo in una manciata di parole.
Io lo seguo da anni e posso serenamente affermare che senza la sua arcinota Casalingo probabilmente non avrei conseguito quel pezzo di carta chiamato laurea e quindi adesso non farei un lavoro comunque differente da quello per cui ho conseguito la suddetta.
Perchè attribuire un così grande merito ad una canzone POP apparentemente dedicata al lavoro più noioso al mondo?
Perchè con Bugo quel che è non è, un po’ come in Alice.
Bugo nasce come tutti, cresce, ed a un certo punto decide di fare musica. Per fortuna.
E’ attivo dal dumila, e da allora non smette di sfornare, al netto di ritiri temporanei e trasferimenti intercontinentali, una varietà di pezzi mai uguali per intenzioni arrangiamenti e atmosfere.
Questo era Bugo for dummies, passiamo adesso alla roba seria.
Mi era capitato di vedere Bugo live al Locomotiv Club nel 2011 durante il tour di Nuovi rimedi per la miopia, e live mi era piaciuto moltissimo: bello scambio di energia tra palco e pubblico, arrangiamenti che spaccano anche dal vivo e una scaletta che – seppur varia nei generi – aveva una personalità fortissima.
Tra le altre cose, in quell’occasione mi ero intrufolata nel camerino a concerto concluso, ma questa è un’altra storia.
Quando una delle newsletter di live attiva tra le mie mail mi ha avvisato che Bugo sarebbe stato nuovamente dalle mie parti per promuovere il nuovo album Nessuna scala da salire, ho subito mobilitato l’altra metà delle Sushettes e ci siamo spinte sotto una pioggia scrociante verso il circolo Dude di Soliera.
Prima di raccontare com’è andata bisogna spendere due parole per il Dude, un locale nuovissimo in zona industriale, con una sala concerti molto figa e buone birre alla spina (hanno anche la Blanche, mondieau!). Il cartellone è figo e il dj che ha suonato a fine concerto non mi ha fatto venir voglia di scappare, quindi andateci.
Bugo è un cazzone.
E’ capace di scrivere e suonare canzoni sulla merda con la stessa serietà con cui un bambino pretende di sfornare polpette con la sabbia.
E questa canzone sulla merda pestata finisce che le canti. Lì durante il live e anche a casa. E il giorno dopo.
E’ questa la magia di Bugo. E’ coinvolgente, svitato e lucido allo stesso tempo al di là della merda, al di là del ggel e quando si rompe i coglioni lo fa con un tappeto sonoro che in Italia non trova pari. L’hanno più volte paragonato a Beck. Io amo Beck e amo Bugo e tutti e due i nomi hanno 4 lettere e non m’importa se si assomigliano. Le sonorità di Bugo sono magnetiche e incollano all’ascolto, dai rif più elettronici ai suoni sporchi lofai.
Bugo è Bugo, ed è come se alcune sue canzoni fossero nate da un esperimento sociologico attraverso il quale l’autore osserva il responso del pubblico. Bugo si diverte e gioca, appende la chitarra alle americane sul palco e le lascia minuti a lamentarsi. Poi esce e rientra vestito di una pelliccia troppo piccola e canta Vasco. Vasco? Bugo, a me non piace Vasco. Ma se lo canti tu capisco dove vuoi andare a parare, e capisco nota per nota da dove hai pescato.
Bugo è un cazzone capace di introspezioni acute che si portano via qualcosa ad ogni ascolto.
A me per esempio hanno portato via un tappo emotivo probabilmente.
Così ho pianto tutte Che diritti ho su di te e Comunque io voglio te. E anche un po’ di Nei tuoi sogni, per essere onesti.
Canzoni oneste, “severe” che non risparmiano nulla.
Quello che non mi aspettavo da questo slancio da femmina in sindrome premestruale è che il buttafuori del Dude, vedendomi così sottosopra, si preoccupasse per me temendo che qualcuno mi avesse importunata. E’ stata la cosa più strana e piacevole di sempre, credo.
E a fine concerto il butta deve aver detto qualcosa a Bugo, perchè mi sono sentita prendere per un braccio.
Pensava volessi una foto, invece no.
Ma sapete cosa gli ho detto?
“Bugo, sei un gran cazzone”.
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