Siamo con Istanbul, e con chi non chiude gli occhi davanti alla realtà per quanto orrenda possa essere.
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Copio e pubblico, su richiesta del nostro presidentissimo, un contenuto FB che mi è uscito di getto solo un paio di ore fa, a fronte di una riflessione sulle condivisioni social nelle ultime ore.
Vorrei precisare che il mio non vuole essere un j’accuse, che anche io ho pubblicato qualcosa in onore di Bud, e che nessuno deve sentirsi offeso da un ragionamento a briglia sciolta partorito nei cinque minuti netti tra l’apparecchiatura del tavolo e il primo maccherone infilzato.
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Sono confusa.
Lo so che è molto più semplice empatizzare per la morte di Bud Spencer o ripetere all’infinito battute tutte uguali sulla Brexit e sull’uscita dell’Inghilterra dagli europei, sentendosi geniali.
Capisco che FB non è – o non dovrebbe essere – il luogo dei necrologi. E neppure quello per deprimersi per una situazione politica desolante o una situazione internazionale molto più che precaria.
Oggi arrivano, attraverso gli status che leggo, eco lontanissimi di notizie passate da poche ore ma che sembrano accadute anni fa.
Bud Spencer, i fagioli e gli angeli.
Il calcio, i meme, hellone.
Ognuno senta a modo suo.
Ognuno esterni a modo suo.
Ma io mi trovo un po’ sperduta di fronte all’imponderabile che succede a pochi chilometri da qui, e diffusamente in tutto il mondo, immaginando i miei prossimi più prossimi che rimangono imperturbabilmente concentrati a rincorrere il selfie perfetto e la battuta più arguta da fare sulla prossima morte eccellente [?].
Sembra che Internet abbia messo una distanza siderale tra quello che succede solo a un passo di distanza e la rassegna di notizie che la rete mette a disposizione in ordine di like.
Niente conta.
E se la morte facesse un altro passo per avvicinarsi, se arrivasse nel nostro Paese, scrolleremmo le spalle.
Più vicino, più vicino.
Un aeroporto internazionale, d’estate a Istanbul.
Un luogo che non è luogo per definizione.
Un luogo che accorcia le distanze e cancella i confini geografici.
Uomini che scelgono la morte, e che nella morte scelgono di portarsi via altre vite in transito in quel aeroporto.
Forse abbiamo scelto di chiudere le serrande della gravità, per essere certi di vivere sereni fino a che ci è possibile.
Spingendo la testa a fondo dentro al telefono, live in un video di gattini, in un tutorial di make-up, tra gag e tormentoni, lasciando in sospensione qualsiasi giudizio sulla giustizia, sulla sicurezza, sul diritto.
E questa consapevolezza mi infonde il freddo dentro.