di Luca Vanelli
Il sistema di accoglienza italiano si articola in varie fasi che accompagnano il migrante durante la richiesta d’asilo. È un sistema che ha sempre inseguito l’emergenza e che, ancora oggi, non riesce a garantire una buona integrazione, andando a discapito di migranti e cittadini. Come funziona?
PRIMA ACCOGLIENZA
– Prima Assistenza – Hotspot
Fase di primo soccorso, screening sanitario e identificazione dei migranti. Queste procedure si svolgono nelle aree ”hotspots”. In Italia si trovano a Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto e in altre località di Sicilia e Calabria. Terminate le procedure di questa prima fase, il migrante può presentare o meno la richiesta di asilo politico.
– i CPR (Centri per i rimpatri)
Coloro che non fanno domanda di asilo, che dopo i primi accertamenti risultano non avere i requisiti per proporla o che sono ritenuti un pericolo per la sicurezza pubblica vengono trasferiti nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR).
– Hub Regionali
Dopo la prima valutazione delle domande, il Prefetto dispone il trasferimento dei richiedenti asilo nei “centri di prima accoglienza”, ossia gli Hub Regionali, dove vengono trattenuti il tempo necessario per individuare una soluzione inerente la seconda fase di accoglienza. I principali Hub si trovano in Sicilia, Puglia, Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Veneto.
– CAS (Centri di accoglienza straordinaria)
In caso di esaurimento dei posti nelle strutture di prima accoglienza, i rifugiati possono essere ospitati anche nei CAS. Per legge, il periodo di permanenza in questi luoghi deve essere temporaneo, il tempo necessario per passare nei centri di “seconda accoglienza”.
I CAS sono individuati dalle Prefetture e possono essere affidati a enti locali, pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza dei richiedenti asilo o nel settore dell’assistenza sociale.
SECONDA ACCOGLIENZA – SPRAR
La seconda accoglienza si svolge nei centri SPRAR (Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e ha come obiettivo principale l’integrazione.
La rete SPRAR è formata da progetti volontari in cui vengono coinvolti piccoli gruppi di migranti. I progetti prendono vita grazie alla collaborazione fra enti locali ed “enti gestori”, realtà del terzo settore che si dedicano all’accoglienza. Dopo aver presentato una domanda di adesione volontaria allo SPRAR, gli enti locali accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA) per la realizzazione di questi piani.
In questi progetti rientrano i richiedenti asilo e coloro a cui è stata riconosciuta la domanda (rifugiati, titolari di protezione sussidiaria e internazionale) che ne fanno richiesta ma che non dispongono di mezzi sufficienti per il sostentamento.
Come funziona lo SPRAR?
Lo SPRAR garantisce interventi di “accoglienza integrata” attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Obiettivo principale dello SPRAR è “la presa in carico della singola persona accolta, in funzione dell’attivazione di un percorso individualizzato di conquista della propria autonomia, per un’effettiva partecipazione al territorio italiano, in termini di integrazione lavorativa e abitativa, di accesso ai servizi del territorio, di socializzazione, di inserimento scolastico dei minori”.
Vengono svolte soprattutto attività che si incentrano sull’apprendimento dell’italiano, sulla conoscenza e sull’accesso ai servizi, sulla individuazione di proprie reti sociali di riferimento.
Nonostante l’obiettivo dell’Italia sia quello di far diventare il sistema SPRAR il modello di riferimento nazionale per l’accoglienza, i dati mostrano come questo obiettivo sia molto difficile da raggiungere.
LE CRITICITA’ – Accoglienza, ma non integrazione
Il sistema italiano può accogliere migliaia di persone, ma non è in grado di assicurare percorsi di integrazione nella società. Tutto questo per diversi motivi:
– Mancanza di un sistema unitario
Esiste una filiera che non riesce a funzionare bene perché le diverse fasi di cui si compone non si armonizzano tra di loro, i soggetti coinvolti dialogano male, le competenze si sovrappongono e i centri sono presenti in modo disomogeneo sul territorio.
– Prevalenza dei CAS
Nonostante l’obiettivo dell’Italia sia quello di far diventare il sistema SPRAR il modello di riferimento nazionale per l’accoglienza, alcuni dati ci mostrano una situazione della realtà lontana da questo obiettivo.
Il modello SPRAR fa fatica a decollare. Pur essendo in costante aumento il numero di migranti interessati, oggi solamente mille comuni su ottomila sono coinvolti nei progetti SPRAR.
Al 31 Marzo 2017:
– 23.867 persone sono coinvolte in progetti SPRAR
– 137.855 persone sono all’interno di CAS
– 13.385 persone sono collocate in strutture di prima accoglienza (Hub Regionali)
I CAS, che dovrebbero accogliere richiedenti asilo solo temporaneamente, ospitano invece quasi l’80% del numero totale delle persone accolte. I CAS diventano così il segmento più consistente del sistema di accoglienza, indebolendo la qualità in termini di erogazione di servizi, mentre il sistema che dovrebbe essere prioritario, lo SPRAR e l’accoglienza integrata, diventa minoritario.
Il principale problema dei CAS riguarda la mancanza di linee guida certe e concordate, come accade nei progetti SPRAR, quindi la qualità dell’accoglienza è molto più disomogenea e lasciata alla responsabilità degli enti gestori. Ci sono gestori che svolgono seriamente il loro lavoro, garantendo tutti i servizi come se fosse uno SPRAR, mentre ce ne sono altri che se ne approfittano per fornire meno servizi, assumere meno operatori e abbattere i costi per avere margini di guadagno. Alcuni operano palesemente in malafede, ospitando migranti in sistemazioni indegne senza assistenza e lucrando sui servizi che non offrono né ai migranti né al territorio.
Pur avendo quindi nella pratica una funzione identica allo SPRAR, i CAS sono concepiti e gestiti in modo molto diverso, come se fossero strutture temporanee dove parcheggiare i beneficiari in attesa che facciano il loro ingresso nel mondo SPRAR. Nei fatti però non lo sono, perché i beneficiari restano spesso nei CAS per tutta la durata della loro pratica di asilo. Questo conduce a situazioni problematiche.
LE POSSIBILI SOLUZIONI
1) Eliminare sovrapposizione e confusione tra prima e seconda accoglienza
E’ necessario creare un sistema unico di accoglienza costituito da fasi diverse che garantiscono accoglienza e integrazione.
– Una prima fase, che permetta in tempi certi di gestire con ordine le problematiche derivanti dagli sbarchi dei migranti.
– Una seconda fase che consenta ai richiedenti asilo di avviare percorsi di integrazione nel nostro paese
2) Più SPRAR, meno CAS
Il sistema di accoglienza italiano dovrebbe essere maggiormente diffuso sui territori, in piccole unità abitative con servizi per l’assistenza, la tutela e l’accesso al welfare nazionale.
Per farlo, si possono seguire strade diverse:
– Passare da un sistema fondato sull’adesione volontaria dei Comuni alla rete SPRAR a un’accoglienza diffusa e integrata per legge.
– Semplificare le procedure di adesione da parte dei comuni alla rete SPRAR e fare in modo che sindaci e prefetture imparino a collaborare per raggiungere un obiettivo di armonizzazione dell’accoglienza sul territorio.
3) Collocare le strutture di accoglienza in luoghi non isolati dal centro urbano
(Il reportage è pubblicato in collaborazione con The Subway Wall – visita il sito)
FONTI:
– “Migranti, accoglienza e integrazione: il sistema va cambiato” – di Angelo Romano e Andrea Zitelli (Valigia Blu)
– “Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia, spiegato per bene” – di Fabio Colombo (Le Nius)